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NEPTUNE

Lovers who bring in your bed
after sometime you leave
only because I was free
to take your maidenhead.
The youth lit up our faces,
you knew it was perhaps a feeble fire
and men without feelings
don’t accept women who already loved.
Your body was excited
from the background created by the sea;
your look became dreamy
staring at sky dominated by the sun
and without other forms of life,
the radiant, desert and quiet sea;
cliffs caressed by water,
the mysterious pine wood forsaken,
the beach ending with space,
the fresh sand that gave relief.
Silent nature scared you,
suddenly you felt alone,
stepped aside from my body;
I grabbed you with heart in throat,
unconscious, coming, you sighet,
then weeping for joy fell asleep.
Now you fight against my ideals,
but I must not marry without love.
What a pity! You will come to someone,
will curse the prejudices,
the fortune to be rascals,
will sell your moral purity.

Gli amanti che porti nel tuo letto
ti abbandonano dopo qualche tempo
solo perché io fui libero
di cogliere la tua verginità.
La giovinezza illuminava i nostri visi,
sapevi che forse era un fuoco debole
e gli uomini privi di sentimenti
non accettano donne che hanno già amato.
Il tuo corpo fu eccitato
dall’ambiente creato dal mare.
Il tuo sguardo divenne sognante
scrutando il cielo dominato dal sole
e senza altre forme di vita;
il mare splendente, deserto, tranquillo,
gli scogli carezzati dall’acqua,
la pineta misteriosa abbandonata,
la spiaggia che terminava all’orizzonte,
la sabbia fresca che dava sollievo.
La natura quieta ti impaurì,
all’improvviso ti sentisti sola,
ti scansasti dal mio corpo,
ti afferrai col cuore in gola,
incosciente godendo sospirasti,
poi piangendo di gioia ti assopisti.
Ora lotti contro i miei ideali,
ma senza amore non posso sposarti.
Peccato! Capiterai a qualcuno,
imprecherai sui pregiudizi,
la fortuna di essere farabutti,
venderai la tua purezza morale.

neptune

Il giorno del mio diciottesimo compleanno, nel mio “esilio” di studio, composi questo brano in inglese… oggi può apparire, a tratti, di una retorica disarmante, per il sottile filo ideologico ormai desueto, giusta una rivoluzione dei costumi che può rendere ridicolo certo argomentare.
Tuttavia, la lettrice attenta non potrà non notare la vis polemica (intrisa di una piccola, fisiologica, dose di ipocrisia maschile) contro il sesso per il sesso.
Ergo, i versi non sono autobiografici (mi conforta il diario: “la mia fantasia su un grave problema umano” – certo c’è di peggio!), ma prendono in esame il Caso, per la verità non completamente estraneo alla nostra società, se smettessimo l’obiettivo dai grandi numeri e mettessimo a fuoco il particulare.
La cosiddetta globalizzazione è in realtà una frottola. Il nostro è un mondo di particolarismi, di culture, di popoli, di identità, che otto o nove stati, estranei al bel pensare, vorrebbero scelleratamente scremare, ottenendo per fortuna solo l’effetto contrario, cioè il risveglio di certe comunità dimenticate.
Con questo non dobbiamo far finta che le culture deboli non abbiano le loro aberrazioni.
Il titolo originale era “Neptune (delight has ruined you)”, musicata a ritmo di rock ballad. L’inglese ha il pregio, con i suoi vocaboli che significano tutto e il contrario di tutto, di nascondere e affinare molte sfumature, che in italiano possono stonare.
L’unica variazione di rilievo è al verso 10, dove l’originale “by Neptune” (da Nettuno) è stato sostituito con “dal mare”.
(IV – 23.10 S)

Music:
LA SOL MI
LA SOL MI
LA RE MI
LA RE MI
SOL FA LA
SOL FA LA  (then repeat…)
(IV – 4.11 A)

A VICTIM’S MEMORY OF ABANDONMENT

Sound compresses organs,
some of figures pass seen
with monotonous and confused motion,
some of phenomena call parts
to research of the empty past.
It feels beat inside
seeing hugeness to shift,
it is aware of the time, the existence;
it feels emotion, but like?
Who has taught it?
So I think obscure beginning of my life;
the first yesterday  I rebember
I fed my stomach alone,
this island was my abode
that has trees for roof: they hide the sky!
I was different from my animal friends.
I saw a big box on the water
and some beings like me
move inwards,
I realized many things going after them:
I belonged to the human race.
Among them was a woman by loving,
one night I abducted her with strenght
she hated me while I talk about civilization
she named me “savage”,
but I was new for her and she loved me,
I named her “savage”.
The boat who brought her went away,
the forest blessed our bond.
Our son knows his parents
and I think back to the past:
I haven’t had his luck.
Who has bred me?
How many times one made love here?
How many times here began a life?
Am I the only forsaken,
or the only survived?
But this thought swiftly dies,
there is another world for it;
I am a savage,
I am able only to throw myself on my woman
when lying on the ground waiting for me.

 Un suono comprime organi,
 delle figure passano, viste,
 con un movimento monotono e confuso,
 dei fenomeni chiamano parti
 alla ricerca del vuoto passato.
 Sente un battito dentro
 vedendo enormità spostarsi,
 conosce il tempo, l’esistenza;
 prova emozione, ma come?
 chi ha insegnato?
 Avverto così l’oscuro inizio della mia vita;
 il primo ieri che ricordo
 alimentavo da solo il mio stomaco;
 quest’isola era la mia dimora,
 ha per tetto gli alberi che nascondono il cielo!
 Ero diverso dagli animali miei amici.
 Vidi una grande scatola sull’acqua
 e degli esseri simili a me
 muoversi verso l’interno,
 capii molte cose seguendoli:
 appartenevo alla razza umana.
 Tra loro c’era una donna,
 una notte la rapii con la forza.
 Mi odiava parlando della civiltà,
 mi chiamava selvaggio,
 ma ero il nuovo per lei e mi amò,
 la chiamai selvaggia.
 Il battello che la portò andò via,
 la foresta benedì il nostro legame.
 Nostro figlio conosce i propri genitori
 ed io ripenso al passato:
 non ho avuto la sua fortuna.
 Chi mi ha generato?
 Quante volte qui si fece l’amore?
 Quante volte qui cominciò una vita?
 Sono il solo abbandonato
 o il solo sopravvissuto?
 Ma il pensiero muore rapidamente,
 c’è un altro mondo per esso;
 io sono un selvaggio,
 so solo gettarmi sulla mia donna
 quando mi aspetta stesa per terra.

memoria di una vittima di abbandono
 
Ho in mano tre diari dei primi anni delle scuole superiori, non vorrei autocelebrarmi, ma sono un pozzo di cultura (i diari, intendo). Cercavo notizie su questo brano: “racconto tarzaniano di un  uomo abbandonato dai propri genitori su un’isola deserta. Egli tuttavia ama la sua vita selvaggia e non rimpiange la civiltà, che non conosce”…
In realtà il brano fu ispirato da un corso di inglese che raccontava la storia del personaggio di Edgar Rice Burroughs e dal brano misconosciuto di Battiato che ne era un po’ la colonna sonora, eseguito dai Capsicum Red. Siamo in pieno orgasmo progressive.
Il brano è nato in lingua inglese, come diversi altri del periodo e non ha subito modifiche.
(IV – 10.10 S)

PASSIONAL REUNION

While I was going to a sudden riunion
the sun was high still,
thus I noted the change entering
into a dark room;
I waited that my eyes adequate itself
to the atmosphere,
to see with whom I was inside there
where it was already the moon.
A light ray struck
a woman’s body,
I lay down near her who gave
herself to my instincts.
Her limbs quivered and gave me
sensations foreseen
my hands studying her hot skin
like automata;
freed her from the dress,
my mouth caressed her breasts
and the smoke of my cigarette
passed on to his lungs.
The underground music sweetened
her first words,
I realized that all for her
was not usual,
so I tightened her with sincerity
for the first time
and I went away saying
“If I will see you again
I will comfort you”.
When I crossed the threshold the moon
was already high.
   
Mentre andavo a una riunione improvvisa
il sole era ancora alto,
così notai il cambiamento entrando
in una stanza buia;
attesi che i miei occhi si adeguassero
a quell’atmosfera,
per vedere con chi ero là dentro
dove già era la luna.
Un raggio di sole colpiva
il corpo di una donna,
mi adagiai vicino a lei che
si diede ai miei istinti.
Le sue membra fremevano e mi davano
sensazioni previste,
le mie mani studiavano la sua calda pelle
come automi;
la liberai dalle vesti,
la mia bocca carezzò il suo seno
e il fumo della mia sigaretta
passò ai suoi polmoni.
La musica di sottofondo addolcì
le sue prime parole,
capii che tutto ciò per lei
non era usuale,
così la strinsi con sincerità
per la prima volta
e andai via dicendole:
“Se ti vedrò ancora
ti consolerò”.
Quando varcai la soglia la luna
era già alta.

passional reunion

Anche questo brano è stato concepito in inglese, il titolo originario era Moon (passional reunion). Avevo 17 anni e la scelta della lingua è legata alle scelte musicali di allora e alla voglia di usare i versi anche musicalmente.
Sentimentalmente ancora nel periodo “penitenziale”, ebbi altre conoscenze rocambolesche, nuove esperienze rivelatesi assolutamente temporanee, delle quali tuttavia il brano fotografa solo un quadro. Le annotazioni sul diario in questo caso non fanno testo perché sono sminuenti.
Nonostante un’immagine del brano, preciso che non fumo e anzi lo combatto. L’ho fatto da adolescente per atteggiamento, ma è stata una cosa stupida e nociva. Smettere non è difficile se si tiene alla propria salute.
(IV – 27.9 A)

MIHI NON LICET IUDĬCARĒ

Virum cognōvi
homĭnum ineptiis necātum.
Pulcher esse dictum est
cum natus est
et filium marīti foedi
matris non esse.
La sua famiglia era povera,
perciò egli un delinquente.
Si diceva che la madre
non gli desse da mangiare,
si rideva della sua magrezza.
Il suo migliore amico era ricco
e la gente ruppe l’amicizia
chiamandolo “ripudio”.
Le sue vesti povere ma pulite
per chiunque erano rubate.
Ricevere il suo saluto era un disonore,
poi un insulto, più tardi un delitto.
Si diceva che puzzasse, picchiasse
e fosse un incapace,
per questo cambiò lavoro spesso.
La sua compagna era di nobile famiglia
e la gente franse l’amore
chiamandola “puttana”.
Sposò la più “brutta”della città
e lavorando i campi visse meglio.
Costruì una casa,  ebbe molti figli;
si disse fosse un bruto.
Un giorno fu ucciso in una rissa,
ma dissero che si suicidò.
Genti meda fiat andada a s’interru;
una fèmina bidendi sa tumba iat nau:
“No est lìcitu giudicai,
ma depiat essi interrau comenti a un’animabi”,
e un’àteru iat nau:
“No est lìcitu giudicai,
ma non meritàt indulgéntzia”.
Genti meda trabessa cussa die iat nau:
“No est lìcitu giudicai”.

mihi non licet

Un appunto sul diario mi ricorda che scrissi questo brano sentendo dei pettegolezzi in autobus. Avevo diciassette anni… Oggi ho l’esperienza per affermare che la diffusione di chiacchiere false può davvero rovinare la vita delle persone.
Mi era parso che per affrontare questo tema ci stesse bene il latino, così scrissi l’originale, riportato successivamente in questa forma, con avvio in latino e chiusura in sardo, come per un edificio restaurato che mostra delle parti antiche o similari.
Tre giorni prima misi insieme degli accordi che scelsi per questo brano:
LA FA, DO LA, FA DO (per tre versi e poi a seguire, come una ballata).
(IV – 11.7 A)

UNA MORTE DATA

Accadde in quel tempo…
non tornò a casa,
il fatto preoccupò,
essendo insolito.
Trascorso del tempo
si segnalò la scomparsa,
temendo si trattasse
di sequestro o fuga,
che comunque occorse
contro sua volontà,
perciò certamente viveva smarrita,
come in un deserto.
L’accaduto mi colpì…
il suo aspetto era ingenuo
e credevo impossibile
che qualcuno potesse
farle del male;
attesi con ansia
notizie su di lei:
sarebbe stato bello
se fosse scappata
verso la libertà,
ma si parlava, distruggendo le speranze,
di un’eventuale morte.
Un giorno degli uomini
mentre erano a pesca,
trovarono un corpo
rigido, senza vita.
Vedendone il volto
è assurdo immaginare
una ragazza dolce
ora corpo esanime:
maledetta la violenza presente nel mondo,
gli istinti criminali.
Di fronte a casi simili
non bisogna illudersi
si tratti di incubi,
tristemente rimane
solo l’impegno al fine
di migliorare l’umanità:
una mesta utopia?
forse non cambieremo
e sarà da ipocriti piangere le sventure,
se stiamo a guardare.

Fatti di questo tipo purtroppo stanno diventando sempre più comuni, quello a cui si riferiscono i versi suscitò molto clamore ed è uno dei più noti.
Il brano originale, scritto a sedici anni, una dedica alla piccola Milena, simulava la narrazione da parte di un ipotetico coetaneo (di cui resta traccia nei versi riveduti); il titolo era Urano (requiem per lei), la forma quella della canzone, musicata e con il ritornello tormentone “come da te Urano”, scomparso nel nuovo testo.
Il brano dunque è stato oggetto di diverse modifiche, anche strutturali. L’originale faceva riferimenti precisi al fatto di cronaca, ma è più difficile spiegare le variazioni, che assumersi il coraggio di pubblicare il testo così come nacque:
Urano (requiem per lei)
Quel giorno di maggio [in origine: Quel giorno Milena]/ tardò a rientrare; [non rientrò affatto, ndt]/ ogni giorno alle cinque [le diciassette? five ‘o clock? ndt]/ la vedevo passare./ Dopo qualche tempo/ scattò l’allarme,/ “Scappata di casa o rapita?”/ erano le domande./ Senz’altro fu costretta/ e purtroppo per lei,/ viveva nel buio, nel silenzio, nel deserto,/ come da te Urano./
Temetti per lei/ perché il crimine è usuale; [primissima lezione era: perché l’amo]/ Gli amici, le amiche,/ tutti la cercavano./ Ma chi la portò via,/ al suo mondo ha pensato?/ Forse no! Ma allora/ è inumano e pazzo/ e siccome con loro/ non si può ragionare/ la tenne nel buio, nel freddo, nel pianto,/ come da te Urano./
Una notte degli uomini/ andarono a pescare/ e trovarono un corpo,/ rigido, ormai immortale./ Non l’avrei mai pensata/ senza vita, inerme, sfigurata/ e mi chiedo se può esistere/ un mostro che così l’abbia/ portata, nel buio, senz’aria, là in fondo,/ come da te Urano./
Inutilmente cerco/ di pensare che è in vita,/ oramai non mi rimane/ che ricordare./ Rimpiango che quel giorno/ non rimase in casa a sognare./ E’ impossibile sapere/ quel mostro in libertà/ e lei nel buio, nel silenzio, nel deserto,/ come da te Urano./
Accordi composti il giorno dopo la scrittura del testo:
LA-, DO LA (quattro volte per otto versi)
LA-, DO LA-
DO
MI- LA (come da te Urano).
(III- 8.7 A)

FANTASIA

Quella mattina mi svegliai
mentre la sognavo
e per un istante
mi parve di averla davanti;
la visione, confondendomi,
ritardò il processo
di adattamento della mente
alla realtà di sempre.
La incontrai uscendo di casa
e riuscii a fermarla;
non esitò a confidarmi
episodi della sua vita,
espose la sua idea d’amore
con parole coinvolgenti,
poi trascinata dal cuore
ne parlò in modo naturale.
Finimmo per amarci
in un prato nascosto,
dove le promisi
che sarebbe rimasto un segreto.
In seguito mi venne voglia
di rivelare quell’esperienza
e senza volerlo
la misi nei guai;
dopo qualche giorno
chiunque seppe di noi,
anche i suoi parenti
la giudicarono male.
Stupidamente la privai
della stima comune
e credo mi biasimasse,
pentendosi di avermi amato.
Continuo a rammaricarmi
per aver detto tutto,
ignoravo di causare
questa grave situazione.
Prima di dormire
mi illudo ancora
di sognarla e ritrovarla,
per un’altra chance.

L’ingenuità dei sedici anni c’è tutta. L’originale era intitolata Venere (Silly), poi (Risveglio) e ricalcava metrica e ispirazione del brano forse più famoso di Dalla. La svolta “movimentista” non mi aveva ancora preso del tutto o per niente. Sognavo e fantasticavo ancora suggestionato da pianeti e dei dell’Olimpo.
Brano quasi arcadico, l’originale, dove il poeta, colto da Venere (pastorella) nel sonno, ottiene in dono la sua verginità (eresia!!!) nei pressi di un fiume, non riuscendo poi a mantenere il segreto. Ma Venere fu magnanima.
Il rimaneggiamento avvenuto qualche anno dopo è più maledetto.
Il diario riporta: “dedicata a Silly, che mi sveglia con il suo dolce viso dal sonno della notte e dell’aurora”.
(III-28.4 S)

UNA CONGIURA

Non immaginavo
che la tua festa
sarebbe stata
una congiura contro me;
non presumesti un particolare:
l’amica timida e solitaria
che cautamente mi avvicinò.
Ciò rovinò
i tuoi piani
e in fretta cercasti
di rimediare all’errore,
ma avendo intuito l’inganno
me ne andai con lei
e tu accusasti il colpo.
La mia rabbia
ebbe sfogo impetuoso
sul suo dolce corpo.
Col tempo
dimenticai quel giorno
grazie al nuovo amore,
ma ancora mi preoccupo
di non averti fatto
soffrire abbastanza.

Questo è l’esempio più lampante che i diari, anche “minimi” sono utilissimi a futura memoria.
Quando ho riletto questo brano, titolo originale “Delusione di sabato”, ho pensato a un fatto e a delle protagoniste ben precise, ma non ci siamo con i tempi, quell’episodio è successivo di qualche anno. Frugando tra le carte ho scoperto che, in realtà, fu ispirato da un Italia-Spagna, in cui il pubblico sardo fece il tifo per la squadra iberica, che vinse. In quell’occasione la vissi male per ragioni di parte (nell’Italia giocavano cinque interisti), oggi (dopo anni di tifo contro la nazionale italiana) la vedo in modo diverso.
In seguito ad una revisione successiva (allo scopo di salvare il documento) il brano ha perso quasi del tutto ogni allusione sportiva, conservando unicamente la trasposizione di due tifose notate là, una contro e un’altra a (mio) favore, sul piano del conflitto sentimentale.
(III – 20.2 S)

MANIFESTAZIONE

Avanzavamo in corteo
scandendo duri slogan
contro il governo iniquo
che ignora le classi povere.
Il vento soffiava forte
spingendo la polvere
nei nostri occhi furenti,
ma noi continuavamo a gridare
per la libertà e l’eguaglianza
di tutti gli uomini,
ammonivamo i padroni
per il vicino tempo di giustizia.
Eravamo in tanti,
con le stesse idee
e urlavamo per cambiare.
I tentativi demagogici
di screditarci furono inutili.

manifestazione

Quell’anno, seconda superiore, con una serie di rivendicazioni per il diritto allo studio, si iniziò uno sciopero il 24 novembre, due giorni dopo si occupò l’Istituto, fatto sgomberare il 2 Dicembre dalla polizia. Le lezioni regolari ripresero il 7 Dicembre con una coda di ulteriori agitazioni ancora per 10 giorni. La manifestazione incriminata è del primo dicembre, aderivano tutte le scuole superiori di Cagliari e le facoltà universitarie (molte occupate). Era uno dei primi cortei ai quali partecipavo, ricordo precisamente alcuni momenti e volti di mie compagne di classe presenti. Quel giorno infuriava il maestrale, che sollevava cartacce e polvere… ne rimasi evidentemente impressionato, al punto che nella prima stesura fiume (sorta di ballata), molto tragica (titolo originale “Terra [polvere politica]”), una delle invocazioni è “tenete pulito un po’! ” e il protagonista (che nella bolgia aveva perso di vista la ragazza) alla fine è moribondo avendo contratto il “morbo della polvere”.
In realtà vi è un’ispirazione dotta, ovvero le Dust Bowl ballads di Woody Guthrie, da me sentite in traduzione per radio…
(II-3.12 S)

Originale:
Polvere politica (Terra)
Andavamo uniti per le strade/ gridando contro il governo/ che ci ignora sempre/, e persi lei./ C’era tanta polvere/ e io la cercavo,/ mentre il vento mi tradiva,/ lei sola./
“Vogliamo essere liberi!/ Tutti gli uomini sono uguali!/ Parità di diritti!/ Fate qualcosa di buono!/ Tenete pulito un po’!/ I padroni, stiano attenti,/ pagheranno la nostra rabbia!”/
Lottavo ancora / con la polvere negli occhi,/ ero stanco, non la trovavo/ nella strada alta./
Non respiravo in quei momenti,/ la volevo vicino./
“Siamo in tanti con le stesse idee!/ E’ giunta l’ora di cambiare!/ Verrà il tempo della giustizia!/ Badate solo a voi/ in un paese alla deriva./ Pulite le strade!/ Conquisteremo la libertà!”/
Non potevo cedere,/ non ci fermavamo mai,/ mi mancava il respiro,/ nella gola polvere,/ per cercarla./ Mi sentii male, ero solo./
“Tutti i ministri sono buffoni!/ Servi dei padroni!/ Prostrati in ginocchio!/ Mettiamo fine a ciò/ per il nostro paese/ che va in rovina./ E’ tempo di rivoluzione!”/
Giunti alla meta/ lei si fece viva./ Tossendo forte mi accasciai a terra;/ piangeva e tanta gente intorno./ Un dottore./ Avevo il morbo della polvere/ e lei urlava più forte./
“Libertà per noi! Pulizia! Il nostro paese va alla deriva!”

UN OMICIDIO

Al solito punto
mi allontanai da lei,
doveva ancora
camminare un po’,
ma non potevo
accompagnarla fino a casa
perché il padre era ostile con me.
Temevo sempre
che facesse brutti incontri
e la invitavo
a guardarsi intorno.
Nell’allontanarmi,
un pensiero fisso
mi spinse a tornare indietro.
Nel silenzio della notte,
coi miei passi nervosi,
sentivo lunghi sibili;
giunto in una zona buia
inciampai su qualcosa
e il mio sangue si agitò.
Gridai istericamente e caddi nel nulla.
E’ orribile
ricordare quei momenti,
ma gli incubi
me li propongono spesso.
La paura aveva
alterato il suo viso,
un’immagine che non mi abbandona.

un omicidio
   
Scritto esattamente una settimana dopo “Un sogno”, potrebbe intitolarsi più propriamente “Un brutto sogno” o “Cattivi pensieri”, visto che è avulso da qualsiasi realtà personale, fortunatamente. Il primo titolo fu Omicidio colposo premeditato, un mostro giuridico!
Credo sia il massimo dell’orrido uscito dalla mia penna, considerato che non amo questo genere, non lo amavo neanche a quindici anni, anzi lo fuggivo, non solo per scelta, ma per una sorta di fastidio connaturato.
Il collegamento con “Un sogno” è innegabile; nella mente stesse protagoniste femminili (nella fattispecie M., che accompagnavo a casa spesso la sera), stessa colonna sonora: “Sympathy” (Rare Bird di David Kaffinetti e Graham Field), là nell’atmosfera, qui nella metrica.
Tuttavia, se il flashback reso è inesistente, mi sembra di ricordare una sorta di movente, insito in pene d’amore adolescenziali. Operando una via di mezzo tra outing e auto-psicanalisi (considerato che il tempo consente a volte di guardare se stessi con un certo distacco), il senso recondito potrebbe essere, da una parte la non accettazione di un rifiuto e dall’altra un messaggio mai recapitato: senza di me sei in pericolo!
(II-24.9 A)

Accompagnamento musicale arpeggiato:
LA
RE (tre volte)
MI (…e si ripete)
(IV – 2.12 A)

UN SOGNO

Dopo essere tornato a casa
mi sono abbandonato alle nostalgie
e ho combattuto il malumore
sognando.
Una ninfetta mi è venuta accanto
e mi ha chiesto di amarla:
gli altri l’avevano evitata
ridendo.
Ho rifiutato,
notando il suo corpo già maturo,
e le ho spiegato
che stavo desiderando un’altra.
Perdendo la speranza di starmi accanto
si è allontanata delusa, così l’ho
richiamata.
Mi ha guardato dolcemente,
poi è fuggita via irata,
avendo capito che si trattava di
simpatia.
Nella realtà
il dialogo con la mia ragazza è in crisi,
proprio perché
nel mio affetto c’è comprensione.

un sogno

Brano scritto a quindici anni. A tratti mi vergogno ancora un po’ della retorica che investe alcuni passi come uno tsunami. Per questo motivo il brano ha subito nel tempo fior di rimaneggiamenti. Quel che rimane è una certa atmosfera che mi rimanda a quei giorni, a quegli amori irripetibili, nutriti da sguardi, contatti leggeri, carezze, sorrisi, gelosie, strategie e soprattutto sogni.
Si intravede, in nuce, un approccio letterario pervaso ancora da gusti musicali, ma più romantici, riscontrabili anche nella scelta di alcune parole. Simpatia e comprensione, in questo caso sinonimi, alleggeriscono concetti più banali e crudi; mentre ninfetta è una scelta pudica, post morso della mela.
Diario: questa è la storia del mio breve incontro con M… (storia un po’ rovesciata, ndr)
La metrica originale ricalca un brano inglese del tempo che non mi viene in mente, al punto che sto sospettando il motivo sia mio.
(II-17.9 A) 

Melodia:
RE DO MI RE MI RE
RE-
RE
MI MI-
(IV – 30.8 A)