Archivio mensile:gennaio 2015

LONDON

Seduto sui bordi di una fontana
a Trafalgar Square.
Gente che passa continuamente,
lingue diverse non capite,
gente…

london

Seduto sui bordi di una fontana a Trafalgar Square (I was 23), mi resi conto del sogno che vivevo, ed era talmente intenso che non riuscii a completare i versi che avevo iniziato a scrivere e non ho mai voluto completare in seguito.
Non sono ancora tornato a Londra da allora e sarebbe diverso, non del tutto però.
La regina era lontanissima dai nostri pensieri, le esigenze erano potersi sedere a Piccadilly circus, gironzolare per Hyde Park, visitare Portobello Road, curiosare a Soho… Solo di straforo si percepiva la vicinanza di Buckingham palace e per caso mi trovai davanti al Big Ben.
(X – 1.8 London)

UBIQUITA’

 Sarebbe utile talvolta
 avere il dono dell’ubiquità.
 Poter vivere una situazione serena,
 intanto che se ne vive una brutta
 o solo si è colmi di noia.
 Ho il dono dell’ubiquità,
 dicono che sia solo un sogno;
 mi si fa cadere nella realtà,
 mentre cerco l’alienazione.
 Ubiquità… irrealtà, utopia:
 rischio di star male due volte,
 a che serve una doppia felicità!?
 Tendenza irraggiungibile,
 speranza infinita:
 realtà della mente
 ubiquità spirituale.

ubiquità
 
Oltre due anni separano la stesura di questo brano da “Sosia”, eppure in qualche modo li considero “gemelli” e non solo a me è capitato di confonderli.
Gemelli dal destino diverso, se non restano uniti… come se ciascuno di noi fosse stato privato del suo, della sua protezione, del suo conforto persistente.
A rigore un sosia è un altro, qualcosa di concreto e distaccato, l’ubiquo è al massimo una condizione mentale, una aspirazione astratta, che riguarda più direttamente se stessi. La familiarità anche stretta tra queste due qualità è stupendamente descritta nel film “La doppia vita di Veronica” di Krzysztof Kieslowski, interpretato magistralmente da Irène Jacob.
Non so se avete mai provato la splendida sensazione che dà la visione di un film, l’ascolto di una canzone, la lettura di un libro o anche solo un dialogo, che vi fanno scoprire totale identità di vedute… a me è capitato tante volte, è un materializzarsi di sensazioni sosiubique. E’ accaduto alla grande con questo film e un po’ con tutta l’opera di Kieslowski, un vero sosia di idee, come altri scrittori, musicisti, artisti…
Il brano, scritto a 23 anni, testimonia sicuramente la mia costante riflessione su tematiche simili, che trovano scarsi interlocutori e il discorso sarebbe lungo e complesso.
Era peraltro un 31 Dicembre, uno di quei capodanni deludenti, che mi richiama subito alla mente l’articolo di Gramsci sull’ “Avanti” del 1 gennaio 1916, “Odio i capodanni”. Gli omuncoli del capitalismo che infestano i governi e i ministeri del mondo, sempre che lo capiscano, storcerebbero il muso, incasinati come sono nelle gabbie in cui si sono rinchiusi da soli e vorrebbero costringerci, ma noi che abbiamo il dono della speranza, esigiamo che ogni giorno sia capodanno e ogni tanto, anche in questo mondo che si autodistrugge, ne passeremmo di sicuro qualcuno buono.
(IX – 31.12 A)

VERSI PER CHI NON NE VOLEVA – Il mio torto

Felicità! Abbraccio nella piazza…
nei miei pensieri ruotiamo
ignari della gente.
I tuoi atti osceni in luogo pubblico…! 
Hai voglia di vedermi.
Ti piacciono i bambini?
Non sai amare, hai paura…
Sono una metà del mio io.
Lui è impotente e gli è rimasta poca musica,
lei è proprio il tuo non io?
La tua casa… l’impero:
fascino discreto della borghesia!
“Riduci le stelle in polvere”
e amala sulla moquette!!!
Quando ho fame mangio svelto,
l’eccitazione causa nausea per il cibo.
Ma dove mi hai trovato? Buffone di corte!
Qual è la mia imputazione…
assolto per tua clemenza.
Saresti stata con Gesù Cristo a Gerusalemme?
Ti ho scocciato abbastanza.
Ancora pochi attimi d’affetto.
Ti affascina VIA DELLE ORE
e non devo aspettarmi niente da te.
Io non entro nel cerchio!
Evviva, ti stai liberando… di me.
Hai mai sofferto?
Io la sera ho pianto di rabbia,
per acuire il dolore
mi sono detto di essere felice.
Non dimentico le sventure facilmente
e tutto ciò che potevo era ridere dentro:
la mia anima divisa in due,
una parte in grave riflessione
visibile esteriormente.
Al Partito l’ambiente è desolato.
Vivo risveglio del senso di libertà.
Accusami, umiliami, distruggimi,
non credere che possa ragionare,
giudicami: condannami al dolore.
Tiri le somme del nostro rapporto,
ne decreti la fine.
Devi stare sola…
ma al lago è stato molto bello.
Non farmi soffrire come sai,
mi contento di molto poco.
Qual è il tuo vero io?
Quello che reprimi in te.
Ogni sprone esterno spersonalizza,
non rendere conto a nessuno delle tue azioni.
Devo tacere, la mia voce dà fastidio.
Mi trovo bene in questa situazione?
…Dipendono da chi le crea.
Mi amo più di quanto tu pensi:
non hai scoperto il narcisismo in me!
Ma non vivo solo per me stesso,
odio l’individualismo come le masse amorfe.
Non c’è una scuola per essere se stessi,
non c’è una regola per realizzarsi.
Il mio torto è essere vero.

il mio torto

Sconcerto, certo… Forse un modo per capire questo rapporto è sapere che non è finito con la fine della trilogia… Il verso è l’emozione di un momento, anche lungo, ma non la storia.
La filosofia può essere poesia. Capiterà a tutti di ragionare con se stessi sui massimi sistemi, sulla complessità della vita, delle persone, della mente, dei caratteri, senza potersi dare risposte razionali, al di là delle quali vi è la Causa Prima, tuttavia continuate a stupirvi e interrogarvi. E mentre riflettete sulle stranezze altrui, può accadere che diano dello “strano” a voi, che vi siete sentiti sempre la persona più comune, normale e naturale sulla faccia della terra. La vita è paradossale!
(VIIIc – 13.9 Mi)

VERSI PER CHI NON NE VOLEVA – Gioie e paranoie

…Sono il tuo servo!
Non mi aspettavo tanto allora,
perciò fu una nuova emozione.
Nel viaggio anarchico della liberazione
non importa l’arrivo, non si hanno membra.
Eri falsa? Non riesco a crederci!
Osteria della salvezza estrema,
della morte inavvertita:
appresa con la rivelazione del vero;
paranoia curata alla meglio.
Hai visto aleggiare l’odio?
Mutamento di situazioni e sentimenti.
Non capisco!
Sul pullman sembrava che mi amassi
e io ti amavo senza dubbio…
Ma sfuggimi, fammi soffrire,
poi non più, ma senza convinzione.
Bisogni non appagati, non capiti.
Perduto! La pioggia mi annienterà.
Uomo di poca fede… E’ passata.
Ho conosciuto la strega.
Il concerto non ha trapassato
la mia anima corazzata dai pensieri.
Incomunicabilità voluta,
alibi per i tuoi prossimi capricci.
Mimami le tue pretese di conoscermi,
le mie assurde trovate,
ciò che non capisco e non penso;
recitami il linciaggio morale:
sono il tuo acido lisergico andato male.
Cosa hai provato la sera
del dialogo dolcissimo?
Vera canapa indiana,
in giro con te tra i fuochi…
Lei è il tuo non io o il tuo modello?
Sono stupendo… ne ho preso atto!
Come avrei potuto non amarti,
rapirti alla solitudidine in agguato;
mi hai dato tanto, l’ho sentito
ma quale sentimento hai provato?
Immortalatemi senza discutere!
Avresti condiviso la mia Messa?
Per stare un po’ col Nazareno
posso rinunciare anche a te.
Atmosfera di pace…
Qual è il tuo male sorella?
Quella sera mi hai odiato?
Il tuo pianto da bambina…
Ricordi il ritorno al nord?
…Il fischio che mi fece trasalire?

gioie e paranoie

Seconda parte più ariosa, anche se disseminata di paranoie, tese a comprendere e fronteggiare caratteri complessi, ondivaghi.
La cornice è Umbria Jazz (come per la prima Firenze), ricordo gioioso e felice, ma condizionato anche dal momento della scrittura, di tutt’altro sentire.
Da questo contesto sono colti baci, trasformati in sassi, per la disperata causa.
(VIIIb – 13.9 Mi)

VERSI PER CHI NON NE VOLEVA – Conoscenza

In principio fu uno sguardo profetico,
poi la ricerca del momento opportuno.
Ci trovammo là a mangiare:
lo ricordo come un fenomeno già visto.
In seguito nella mente un pensiero fisso,
realizzato con la fuga dagli altri: 
l’abbraccio… La certezza di poter rubare.
Faccio sempre così con tutte?
Parlarti! Nell’abbandono…Ti amo!
Non facevi di quelle cose!
Amore, dialogo, sensazioni bellissime
Tua decisione improvvisa, grottesca, castrante.
La voglia di stare da sola, il bisogno:
altro attuale “deja vu”,
incomprensibile allora.
Abile nei compromessi,
prendo sempre il più che posso.
Dicesti che non avrei mai dovuto
scrivere niente su di te,
e questo già lo scrissi nella mia mente.
Ricerca disperata, freddezza, sofferenza:
crearsi l’appiglio nella caduta dal baratro;
speranza ritrovata, severità, asservimento,
sadomasochismo degli esseri umani.
Dammi una possibilità!
Sono il tuo servo!
Non ti avrei mai pensata così!
Strani a capire voi di questo mondo:
pazzi, conformisti, semplici… un casino!
Smascheratevi ipocriti! Confondete l’ingenuo.

versi per chi non... 1

Primo atto di una drammatica quanto sarcastica e amara trilogia, la cui intelligibilità necessiterebbe almeno di un trattatello di psicologia.
Racconto di un amore intenso, ma controverso fin dai suoi primi momenti, descritto di getto in uno dei periodi più dolorosi.
I versi liberi rappresentavano l’illusoria supplica, la scossa, l’ultima spiaggia per recuperare il rapporto tra due personalità sotto certi aspetti agli antipodi, seppur inesplicabili.
(VIIIa – 13.9 Mi)

SOSIA

 Ogni tanto dicono:
 “Un essere umano ti somiglia!”
 Curioso! Vorrei poterlo vedere,
 ma quasi sempre è lontano;
 penso sia bello avere dei sosia,
 è anche un sollievo sapere di non essere unici.
 Quando dicono: “Hai un uguale”,
 è un complimento che sento;
 essere unici è essere isolati,
 avere uguali è un socialismo datoci.
 Ogni volta uno! è un riconoscimento,
 è un’attenzione prestata, un non essere “x”.
 Il profilo uguale a quel cantante,
 l’anglosassone simile con la donna amata,
 o quello del paese che tediava l’amica.
 L’amico di quella che venne d’estate
 o lo spavento nel bus vedendomi di fronte…
 In me vedono un volto conosciuto.
 In molti proprio non mi ci vedo,
 in altri non mi hanno veduto
 notando un carattere diverso;
 quell’altro era borghese io proletario.
 In fondo è un fatto esteriore:
 di sosia d’idee non mi parlano mai.

sosia
 
Per i miei ventun anni, appena rientrato da un viaggio durato un anno, mi regalai questi versi. A volte le celebrazioni non funzionano, hanno un ché di formale, tuttavia affrontavo un tema a lungo meditato e su cui mi interrogavo costantemente. La necessità costante che abbiamo di attribuire e di avere o meno dei sosia è in fondo un mistero dell’esistenza, un appiglio della prima conoscenza, un gioco… poi nella profondità di un rapporto le sembianze danno spazio ad altro, qualcosa di meno evanescente.
(VII – 23.10 A)

POLITIQUE D’ABORT

 Sia premesso che il libertario
 non pondera il rapporto sessuale
 dal destro di negarne il frutto.
 (Non si può fare l’amore 
 senza restarne intrisi)
 Sia premesso che il libertario
 non discrimina tra forme di vita,
 specie quella della donna incinta.
 (Dall’amore si può nascere,
 ma non si deve morire).
 L’aborto è un grave dramma umano
 subito, suo malgrado, dalla madre,
 sbaglia chi lo spaccia per un vizio.
 (Le leggi non devono mai
 vincolare le coscienze).
 Quella donna è solo una vittima
 della violenza sociale di stato;
 Dio non sta ai vertici del potere!
 (La legge è sempre arbitrio
 nei confronti della libertà).

57 abord
 
Brano piuttosto rimaneggiato rispetto all’originale, nel tentativo di chiarire il più possibile dei concetti complessi, relativi a una questione che coinvolge profondamente (in qualsiasi modo la si voglia rigirare) la coscienza individuale. Per una completa comprensione trascrivo anche la prima versione che era intitolata semplicemente “Aborto”:
L’anarchico non uccide/ il frutto di un/ rapporto sessuale./ (Chi può fare l’amore/ senza provare affetto?)/
Il libertario/ protegge la vita/ della donna incinta./ (dall’amore nasce spesso/ un essere umano)./
L’aborto è un grave dramma/ subito dalla madre,/ voluto dalla borghesia./ (Le leggi non devono/ legare le coscienze)./
La donna è oppressa/ dalla violenza sociale;/ Dio non sta ai vertici dello stato./ (La legge è sempre arbitrio/ nei confronti della libertà)./
 Scritto a Firenze all’età di vent’anni, ai margini del consesso degli Obiettori di coscienza (al servizio militare), in un contesto molto particolare… i sotterranei (che ospitavano una scuola) della St. James American Protestant Episcopal Church.
(VII – 6.1 Fi)

DA UNO SGUARDO DI BAMBINA

… Uno sguardo di bambina
ha riempito qualcosa dentro me.
Era là che giocava
con i suoi amici,
poi ha alzato gli occhi
e mi ha guardato dolcemente;
così ho visto la pace,
ho capito il messaggio di Cristo,
il perché devo tornare bambino;
ma non basta che lo diventi io solo,
non basta che lo diventino tanti,
non basta che uno solo non lo sia.
Se un giorno diventeremo tutti bambini
realizzeremo la Libertà.
Nello sguardo di quella bambina c’era amore:
io provo amore per lei,
io amo i bambini,
vorrei essere come loro
e soffro vedendo quanto poco lo sono.
Incontrando un bambino
incontro il giusto
e sorrido al giusto
e il giusto mi sorride
e qualcosa si riempie dentro me.

da uno sguardo..

Adolescente, tornavo da scuola, percorrevo l’ultimo tratto di strada verso casa; mi imbattei in un gruppo di bambini che giocavano.
Al mio passaggio una bambina, un angelo bellissimo con gli occhi blu, si fermò e mi guardò sorridente, risposi al sorriso e continuai…
Questo attimo si è fermato nella mia mente e ancora oggi ne serbo memoria.
Qualche tempo dopo scrissi questo brano nel tentativo di descrivere quell’emozione, dandogli un profondo significato di pace.
(VI – 12.12 Rm)

IL MANIFESTO

 Orémus: il clero reazionario è
 avverso all’obiezione di coscienza,
 favorevole perciò alle guerre.
 Kyrie eleison et Christe eleison.
 Non capisco allora perch’è contro
 rivoluzioni armate socialiste
 tendenti a ripristinare giustizia,
 mentre la guerra porta solo faa-me.
 Constantia!
 
 Disperato, profugo esasperato,
 stanco di vivere ristretto, oppresso,
 la risposta armata è vendetta,
 non rivoluzione, liberazione.
 Sangue chiama sangue per i tuoi figli.
 Per un progresso saldo al socialismo
 occorre lotta dura al capitale,
 con resistenza attiva nonviolenta.
 Aa-men!

manifesto

Brano estemporaneo scritto lo stesso giorno del precedente e riportato, senza titolo, nella stessa scheda cartacea.
Riporta quello che già allora (vent’anni) era il mio pensiero, movendosi tra quelle che alcuni potrebbero chiamare le “mie contraddizioni”, ma che in realtà sono le contraddizioni della chiesa da una parte e della “lotta di popolo armata” dall’altra, la quale, dato che è “di lunga durata”, tanto vale sia nonviolenta.
Con la chiesa ufficiale non c’era neanche storia; frequentavo una Comunità di base, quelli che sono ancora oggi i Cattolici del dissenso. Era vivissima allora la teologia della liberazione in America latina, non del tutto nonviolenta per la verità…
Mi muovevo invece politicamente tra compagni che si definivano in gran parte atei e che ogni volta mi facevano due palle così… Trovare chi la pensava come me (fuori dalla comunità) era una rarità e non era ancora accaduto.
Il brano va letto come se si officiasse una funzione religiosa, non per essere dissacrante, ma solo per sdrammatizzare (stile Giovanni Lindo Ferretti per intenderci).
(VI-9.12 Rm)

DROGA BECIA

Is meris ant sempir cicau
de cunfundi is pòberus,
nd ant bogau totu is modus,
contras a is traballadoris,
po aumentai is disparidadis:
su “galateu” pur nd ant bogau!
A secund’e su pirìgulu
‘nant’is fémias depint intrai,
tocat a papai e no cantai,
asub’e sa mesa feti una manu,
a si sonai su nasu allenu…
raju, unu segamentu ‘e culu!
Custus scimprorius s’ant frigau
e s’agataus a dd’us poni in menti,
est ora ‘e ndi scidai sa genti:
su “galateu” est u’ ammesturu
mancai no parrat, sicuru,
si faint fai su chi ant cumplotau.
Insaras ita tiau depeus fai?
In menti prus no ddus pongiaus,
comenti oleus tocat fatzaus;
is trobeddus de is ricus
s’incint no sendi tzaracus:
is xrobeddus ndi depeus ‘ogai
de is jualis e s’iscadenai.

55 galateu

Anche questo brano si inserisce in un momento di svolta, sia di scrittura, sia di vita: fresco di maturità, lasciai la Sardegna per studiare Sociologia a Roma, qui evidentemente, in esilio, ebbi il desiderio di scrivere per la prima volta in sardo. Mi cimentai su un tema abbastanza eccentrico, volli dire la mia sul “galateo” e allora il mio parere era abbastanza radicale; non che ora sia diverso, ma magari è più particolareggiato.
Quello che si stigmatizza non è tanto l’opera di mons. Della Casa, che ha fatto il suo tempo ed è ormai più o meno innocuo, ma la capacità dei nuovi dittatori di assoggettare con la propaganda e con promesse credibili solo da chi ha il cervello in letargo (tanti, visti i risultati delle elezioni sarde), il nuovo proletariato (un proletariato che non ha più neanche la prole, visto che non se la può permettere).
Il titolo originale era “Galateu: droga becia”. Ha avuto l’onore di essere pubblicato nel bollettino “Sa oghe sarda in Belgiu”, rubrica “Su parnasu de sos emigrados sardos” della Lega dei circoli sardi in Belgio. La metrica è in sestine tradizionali che rimano abbcca, con, nell’ultima, rima baciata finale.
(VI – 9.12 Roma)

Traduzione:
VECCHIA DROGA
I padroni hanno sempre cercato/ di confondere la povera gente,/ hanno provato in ogni modo/ – contro i lavoratori -/ ad accrescere le disparità:/ anche il “galateo” hanno tirato fuori!/
A seconda del pericolo/ occorre dare la precedenza o meno alle donne,/ quando si mangia non si canta,/ a tavola si appoggia solo una mano,/ è necessario soffiarsi il naso senza far rumore…/ fulmini… un bel rompimento di palle!/
Queste scemenze sono una fregatura/ e ci ritroviamo a dargli retta./ Sarebbe ora di svegliare la gente:/ anche se non sembra,/ il galateo è un minestrone/ con il quale, di sicuro,/ riescono a farci fare ciò che desiderano./
Allora che fare?/ Non diamogli più retta,/ facciamo come ci pare;/ gli intrighi dei ricchi/ si sconfiggono cessando di essere loro servi:/ dobbiamo togliere dai nostri cervelli/ il giogo e liberarci dalle catene./